Asclepio. Revista de Historia de la Medicina y de la Ciencia 74 (2)
julio-diciembre 2022, p613
ISSN-L: 0210-4466
https://doi.org/10.3989/asclepio.2022.26

ESTUDIOS / STUDIES

“UNA UMANITÀ PIÙ SQUISITA E MIGLIORE”. GLI EUGENISTI ITALIANI E IL FIRST INTERNATIONAL EUGENICS CONGRESS (LONDRA, 1912)

“A BETTER AND MORE PERFECT HUMANITY”. THE ITALIAN EUGENICISTS AND THE FIRST INTERNATIONAL EUGENICS CONGRESS (LONDON, 1912)

Giovanni Cerro

Fondazione Collegio San Carlo di Modena (Italia)

https://orcid.org/0000-0002-2862-2384

ABSTRACT

L’articolo indaga la partecipazione degli studiosi italiani al First International Eugenics Congress, tenutosi a Londra, sotto la presidenza di Leonard Darwin (24-30 luglio 1912). L’analisi delle relazioni presentate dagli eugenisti italiani rivela le caratteristiche principali del movimento eugenico nazionale: un’impostazione interdisciplinare, che coinvolge antropologia, psichiatria, sociologia, demografia, economia e politica; il ruolo preminente riconosciuto alle condizioni sociali e ambientali; l’enfasi posta sulle riforme educative e igieniche. Allo stesso tempo, tuttavia, l’articolo mostra come alcuni importanti eugenisti italiani fossero in linea di principio favorevoli all’adozione di misure repressive, tra cui la sterilizzazione degli inadatti; la rifiutavano unicamente per ragioni pratiche, dal momento che era difficile sterilizzare interi gruppi umani e vincere la resistenza della popolazione e della Chiesa cattolica. Questo aspetto consente di sottolineare i limiti del concetto di eugenica latina applicato al caso italiano. Inoltre, l’articolo sostiene che il congresso ha costituito una svolta nella storia dell’eugenica italiana, fornendo una cornice istituzionale al movimento, incoraggiando la discussione di questioni relative al miglioramento umano nel dibattito scientifico e politico e segnando il passaggio da un’eugenica qualitativa a un’eugenica quantitativa.

PAROLE CHIAVE: 
Eugenica; Degenerazione; Eredità; Ambiente; Razza.
ABSTRACT

The article investigates the participation of the Italian scholars in the First International Eugenics Congress held in London, under the presidency of Leonard Darwin (24-30 July 1912). The analysis of the papers presented by the Italian eugenicists reveals the main features of the national eugenics movement: an interdisciplinary approach, involving anthropology, psychiatry, sociology, demography, economics, and politics; the prominent role recognized to social and environmental conditions; the emphasis on educational and hygiene reforms. At the same time, however, the article shows how some relevant Italian eugenicists were in principle in favor of the adoption of repressive measures, such as the sterilization of the unfit. They rejected it only for practical reasons: it was difficult to sterilize entire human groups and overcome the resistance of the population and the Catholic Church. This aspect allows us to underline the limits of the concept of Latin eugenics applied to the Italian case. Furthermore, the article argues that the Congress represented a turning point in the history of Italian eugenics, providing an institutional framework to the movement, encouraging the discussion of issues related to human betterment in scientific and political debate, and marking the transition from a qualitative eugenics to a quantitative eugenics.

KEY WORDS: 
Eugenics; Degeneration; Heredity; Environment; Race.

Recibido: 21 febrero 2022; Aceptado: 5 junio 2022; Publicado: 2 diciembre 2022

Cómo citar este artículo/Citation: Cerro, Giovanni (2022) “Una umanità più squisita e migliore”. Gli eugenisti italiani e il First International Eugenics Congress (Londra, 1912)”, Asclepio, 74 (2): p613. https://doi.org/10.3989/asclepio.2022.26

INTRODUZIONE1 Desidero ringraziare gli anonimi revisori di «Asclepio» per i loro commenti e i loro consigli.

 

Il 24 luglio 1912 si aprì il First International Eugenics Congress. Nella capitale inglese giunsero circa quattrocento relatori provenienti dagli Stati Uniti e da molti paesi europei (Italia, Francia, Germania, Belgio, Inghilterra, Danimarca, Norvegia e Spagna), oltre a delegati dal Giappone e dall’Australia, che si trovarono a discutere per la prima volta in modo sistematico il problema della lotta alla degenerazione e del miglioramento dell’umanità: come era possibile trovare un’applicazione pratica alle idee di Francis Galton? (Kevles, 1995Kevles, Daniel J. (1995), In the Name of Eugenics. Genetics and the Uses of Human Heredity, Cambridge-London, Harvard University Press.; Turda, 2010Turda, Marius (2010), Modernism and Eugenics, London, Palgrave Macmillan.; Bashford, Levine, 2010Bashford, Alison; Levine, Philippa (2010), The Oxford Handbook of the History of Eugenics, Oxford, Oxford University Press.; Kühl, 2013Kühl, Stefan (2013), For the Betterment of the Race. The Rise and Fall of the International Movement for Eugenics and Racial Hygiene, New York, Palgrave Macmillan.; Cassata, 2015Cassata, Francesco (2015), Eugenetica senza tabù. Usi e abusi di un concetto, Torino, Einaudi.; Levine, 2017Levine, Philippa (2017), Eugenics. A Very Short Introduction, Oxford, Oxford University Press.; Taguieff, 2020Taguieff, Pierre-André (2020), L’eugénisme, Paris, Que sais-je?.). Il confronto fu tra ambiti di ricerca talvolta distanti e non sempre conciliabili: dall’antropologia fisica alla filosofia, dalla criminologia alla pedagogia, dalla biologia alla sociologia. A organizzare e presiedere gli incontri, che proseguirono fino al 30 luglio, il maggiore Leonard Darwin, figlio di Charles e presidente della Eugenics Education Society dal 1911 (Mazumdar, 1992Mazumdar, Pauline M.H. (1992), Eugenics, Human Genetics and Human Failings. The Eugenics Society, its Sources, its Critics in Britain, London, Routledge.; Chitty, 2007Chitty, Clyde (2007), Eugenics, Race and Intelligence in Education, London-New York, Continuum.). Un folto gruppo di vicepresidenti lo affiancò nella direzione dei lavori: tra loro, oltre ad Alexander Graham Bell e a Winston Churchill, vi erano Auguste Forel, Alfred Ploetz e August Weismann.

Nel discorso inaugurale, richiamandosi proprio a Galton, Leonard Darwin sosteneva che chiarire il funzionamento dei meccanismi ereditari e applicare queste conoscenze al processo di regolazione delle vite umane era un “dovere fondamentale” (Darwin, 1912, p. 3Darwin, Leonard (1912), “Presidential Address”. En: Problems in Eugenics. Vol. I. Papers Communicated to the First International Eugenics Congress Held at the University of London. July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society, pp. 1-6.), soprattutto in un momento in cui sembrava che la civiltà occidentale, anziché avanzare sulla strada del progresso, fosse ferma o addirittura regredisse, in preda alla degenerazione. La decadenza attuale di nazioni e razze derivava, secondo Leonard Darwin, dall’incapacità di valutare le conseguenze negative causate sul lungo periodo da una filantropia poco oculata. Se in passato la povertà, le malattie e le guerre avevano contribuito a eliminare o a diminuire il numero degli inadatti, ora a causa della carità pubblica questi ultimi erano liberi di riprodursi, mettendo al mondo una discendenza pericolosa per la società. Non tener conto di questi effetti era un segno di “debolezza” e “follia” (Darwin, 1912, p. 4Darwin, Leonard (1912), “Presidential Address”. En: Problems in Eugenics. Vol. I. Papers Communicated to the First International Eugenics Congress Held at the University of London. July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society, pp. 1-6.). L’unica soluzione veniva allora dall’eugenica, che rappresentava l’applicazione sociale della teoria dell’evoluzione, essendo un ponte tra il “dominio della scienza” e il “dominio dell’azione umana” (Darwin, 1912, p. 6Darwin, Leonard (1912), “Presidential Address”. En: Problems in Eugenics. Vol. I. Papers Communicated to the First International Eugenics Congress Held at the University of London. July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society, pp. 1-6.). L’uomo avrebbe dovuto usare le proprie conoscenze del processo evolutivo per promuovere nell’avvenire il progresso morale e materiale. La nazione che per prima si fosse fatta carico di quest’impegno avrebbe dominato nella competizione mondiale e conquistato un posto di rilievo nella storia universale dell’umanità. Solo in questo modo il ventesimo secolo sarebbe stato ricordato come il secolo dell’eugenica, mentre il diciannovesimo era già riconosciuto come il secolo dell’evoluzione.

Il presente articolo intende analizzare gli interventi della delegazione italiana a Londra, una delle più folte insieme a quella statunitense e a quella francese, composta da Corrado Gini, Vincenzo Giuffrida-Ruggeri, Achille Loria, Antonio Marro, Robert Michels, Enrico Morselli, Alfredo Niceforo e Giuseppe Sergi. Anche il giurista lombrosiano e senatore Raffaele Garofalo partecipò al congresso, ma non tenne una relazione, limitandosi a presiedere la seduta pomeridiana del 29 luglio. Dalle relazioni degli studiosi italiani emergevano due diversi modi di intendere l’eugenica: da un lato, la via indicata da Cesare Lombroso, interessata al tema dell’atavismo e della degenerazione; dall’altro, la via aperta dal sociologo ed economista Vilfredo Pareto, che poneva l’accento sulla necessità di una selezione degli inadatti basata sul diverso tasso di fertilità delle classi sociali e sulla circolazione delle élites (Cassata, 2011a, pp. 29-40Cassata, Francesco (2011a), Building the New Man. Eugenics, Racial Science and Genetics in Twentieth-Century Italy, Budapest, CEU Press.). Al pari di quanto avvenne in altri paesi europei, come la Francia ad esempio (Carol, 1995, pp. 72-84Carol, Anne (1995), Histoire de l’eugénisme en France. Les médecins et la procréation XIXe-XXe siècle, Paris, Seuil, 1995.; Schneider, 1990, pp. 84-107Schneider, William Howard (1990), Quality and Quantity. The Quest for Biological Regeneration in Twentieth-Century France, Cambridge, Cambridge University Press.; Mucchielli, 2006Mucchielli, Laurent (2006), Criminology, Hygienism, and Eugenics in France, 1870-1914: The Medical Debates on the Elimination of “Incorrigible” Criminals. En: Becker, Peter; Wetzell, Richard F. (eds.), Criminals and Their Scientists. The History of Criminology in International Perspective, Cambridge, Cambridge University Press, pp. 207-230.), la partecipazione al congresso segnò uno spartiacque per il movimento eugenico italiano, determinando una prima forma di organizzazione istituzionale, seppur molto precaria, e soprattutto incoraggiando l’irruzione del tema del perfezionamento della razza nel dibattito scientifico e politico (Pogliano, 1984, p. 62Pogliano, Claudio (1984), “Scienza e stirpe: eugenica in Italia (1912-1939)”, Passato e presente, 5, pp. 61-97.). Furono quindi ridefiniti i rapporti di potere all’interno del movimento eugenico nazionale, con la transizione da un’eugenica attenta soprattutto agli aspetti per così dire qualitativi (i caratteri adattivi del singolo rispetto all’ambiente) a un’eugenica fondata sull’analisi degli aspetti quantitativi, come l’aumento della popolazione, in cui il valore eugenico del singolo corrispondeva alla sua prolificità (Pogliano, 1999Pogliano, Claudio (1999), “Eugenisti, ma con giudizio”. En: Burgio, Alberto (a cura di), Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia, 1870-1945, Bologna, Il Mulino, pp. 423-442.; Mantovani, 2004Mantovani, Claudia (2004), Rigenerare la società. L’eugenica in Italia dalle origini ottocentesche agli anni Trenta, Soveria Mannelli, Rubbettino.; Cassata, 2006aCassata, Francesco (2006a), Molti, sani e forti. L’eugenica in Italia, Torino, Bollati Boringhieri.; Ciceri, 2009Ciceri, Massimo (2009), Origini controllate. La prima eugenica italiana, 1900-1924, Civitavecchia, Prospettiva.; Quine, 2010Quine, Maria Sophia (2010), “The First-Wave Eugenic Revolution in Southern Europe: Science sans frontières”. En: Bashford, Alison; Levine, Philippa, The Oxford Handbook of the History of Eugenics, Oxford, Oxford University Press, pp. 377-397.; Cerro, 2013Cerro, Giovanni (2013), “Migliorare l’umanità. Teorie dell’eugenica italiana tra Ottocento e Novecento”. En: Altini, Carlo (a cura di), Utopia. Storia e teoria di un’esperienza filosofica e politica, Bologna, Il Mulino, pp. 279-302.; Cerro, 2017Cerro, Giovanni (a cura di) (2017), L’eugenetica italiana e la Grande Guerra, Pisa, ETS.; Montaldo, 2018Montaldo, Silvano (2018), “Eugenica “latina”? Criminologia e sterilizzazioni femminili in Italia a fine ’800”, Passato e Presente. Rivista di storia contemporanea, 36 (104), pp. 19-43.).

LA RAZZA E LA DEGENERAZIONE

 

Il tema della degenerazione attraversa trasversalmente, e in modo più o meno esplicito, tutte le relazioni presentate dagli italiani al congresso. In questo paragrafo ci si concentrerà soprattutto su coloro che, come Sergi, Morselli e Giuffrida-Ruggeri, dedicarono più di altri una parte significativa della loro ricerca scientifica allo studio e all’interpretazione dei segni degenerativi fisici e mentali nell’uomo, ponendoli in relazione con il problema delle classificazioni etniche.

Vorrei iniziare proprio da Giuseppe Sergi, antropologo e psicologo dell’Università di Roma, fondatore nel 1893 della Società romana di antropologia, dopo la clamorosa scissione dalla Società italiana di antropologia ed etnologia di Paolo Mantegazza. Amico e corrispondente di Galton, tra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del secolo successivo Sergi fu senza dubbio la personalità più importante del movimento eugenico italiano: suo è il testo che può essere considerato fondativo del movimento, Le degenerazioni umane, pubblicato nel 1889 (Sergi, 1889Sergi, Giuseppe (1889), Le degenerazioni umane, Milano, F.lli Dumolard.). Nel libro Sergi definiva la degenerazione una forma di adattamento inferiore o incompleta rispetto alle condizioni ambientali, dovuta a un’alterazione della costituzione biologica dell’individuo. Potevano considerarsi pertanto degenerati tutti coloro che non soccombevano nella lotta per l’esistenza, ma riuscivano a sopravvivere al prezzo di anomalie fisiche e psichiche. Le categorie di degenerati individuate da Sergi comprendevano pazzi, suicidi, criminali, prostitute, servi, vagabondi, mendicanti e “parassiti”. Le loro anomalie psicofisiche potevano essere ricondotte a tre forme di degenerazione: la degenerazione “atavica” o “regressiva”, che consisteva nella riemergenza di caratteri propri degli antenati o delle specie animali; la degenerazione “primitiva” o “nativa”, che implicava uno sviluppo incompleto per cause ereditarie o per comportamenti viziosi della madre nel periodo della gestazione; la degenerazione “acquisita” o “secondaria”, che colpiva un individuo sano nel corso della sua vita per motivi patologici (Sergi, 1886-1887Sergi, Giuseppe (1886-1887), “Y a-t-il un caractère général bio-pathologique qui prédispose au crime? Différentes origines et modalités de ce caractère”. En: Actes du premier congrès international d’anthropologie criminelle. Biologie et sociologie (Rome, novembre 1885), Torino, F.lli Bocca, pp. 159-165.).

Al fine di porre un freno al pericolo rappresentato dalla diffusione del fenomeno degenerativo nel corpo sociale, negli ultimi due capitoli delle Degenerazioni umane Sergi invocava un processo di “selezione artificiale” o “rigenerazione”, che prevedeva sia misure assistenziali sia rimedi energici (Sergi, 1889, pp. 195-228Sergi, Giuseppe (1889), Le degenerazioni umane, Milano, F.lli Dumolard.; cf. Cassata, 2011bCassata, Francesco (2011b), L’eugenica di Giuseppe Sergi. En: Volpone, Alessandro; Destro-Bisol, Giovanni, Se vi sono donne di genio. Appunti di viaggio nell’antropologia dall’Unità d’Italia a oggi, Roma, Casa editrice Università La Sapienza, pp. 92-100.; Tedesco, 2012Tedesco, Luca (2012), Giuseppe Sergi e «la morale fondata sulla scienza». Degenerazione e perfezionamento razziale nel fondatore del Comitato Italiano per gli Studi di Eugenica, Milano, Unicopli.; Tedesco, 2016Tedesco, Luca (2016), “Latin and Nordic Eugenics in the Project of Racial Improvement Set Up by Giuseppe Sergi, Founder of the Comitato italiano per gli studi di Eugenica”, Popolazione e storia, XVII (1), pp. 35-52.). Da un lato, bisognava approvare riforme volte a migliorare le condizioni di vita della popolazione garantendo il risanamento igienico dei centri urbani più popolosi, l’assistenza sanitaria per gli operai, un’alimentazione adeguata e l’accesso all’istruzione professionale per le classi popolari. Dall’altro lato, per criminali recidivi e mendicanti le uniche soluzioni erano la costrizione al lavoro, la deportazione in isole deserte e il divieto di contrarre matrimonio. Col tempo, tuttavia, Sergi avrebbe rivisto le sue posizioni, dicendosi favorevole all’assistenza alla maternità e all’infanzia e respingendo soluzioni coercitive come la sterilizzazione, la segregazione e l’interdizione del matrimonio (Sergi, 1914Sergi, Giuseppe (1914), “L’eugenica dalla biologia alla sociologia”, Rivista di antropologia, XIX, pp. 351-379.; Sergi, 1916Sergi, Giuseppe (1916), “L’eugenica e la decadenza delle nazioni”. En: Atti della Società italiana per il progresso delle scienze. VIII riunione (Roma, marzo 1916), Roma, SIPS, pp. 181-199.; Sergi, 1917Sergi, Giuseppe (1917), “La guerra e la preservazione della nostra stirpe”, Nuova antologia, CCLXXVI, pp. 8-18.). Questo rifiuto si basava sul fatto che tali misure fossero inefficaci e, in alcuni casi, potessero rivelarsi controproducenti. La sterilizzazione dei tarati, ad esempio, era spesso in contrasto con la morale comune e non era un metodo praticabile ad ampio raggio; l’esclusione prolungata dalla vita sociale degli individui adulti produceva, poi, effetti che non erano stati ancora sufficientemente studiati; infine, l’impedimento del matrimonio non garantiva dal pericolo che gli inadatti potessero comunque riprodursi.

Nel suo intervento a Londra, Sergi non si occupò direttamente di temi eugenici, ma di antropologia delle razze, campo di studio a cui aveva indirizzato la maggior parte delle proprie ricerche negli anni precedenti sostenendo una visione poligenista, secondo la quale i vari rami umani avevano avuto origine e si erano evoluti in modo autonomo e parallelo in differenti punti della superficie terrestre. A partire dal 1891 Sergi aveva messo a punto un originale metodo di classificazione dei gruppi etnici basato sulla morfologia della testa e non più sulle misurazioni craniche, che allora dominavano gli studi antropologici (Cerro, 2015Cerro, Giovanni (2015), “Giuseppe Sergi e le riforme craniologiche nell’antropologia italiana di fine Ottocento”, Medicina & Storia, XV (8), pp. 29-52.). Secondo lui, soltanto la forma del cranio, essendo stabile nel tempo -indipendente cioè dalle condizioni climatiche, ambientali, dalle influenze culturali e dalla condotta di vita- era un criterio attendibile per il riconoscimento dei tipi umani. L’applicazione del metodo cranioscopico consentì di sostenere la superiorità della stirpe mediterranea, le cui origini dovevano rintracciarsi nell’Africa centro-orientale, sugli ariani o indoeuropei, provenienti dall’Asia centrale (Sergi, 1895Sergi, Giuseppe (1895), Origine e diffusione della stirpe mediterranea. Induzioni antropologiche, Roma, Società editrice Dante Alighieri. ). Al congresso di Londra, Sergi ribadì la persistenza nel tempo delle forme craniche e la loro ereditarietà, sferrando un attacco sia alla craniometria sia all’idea della “plasticità dei tipi umani” rispetto all’ambiente avanzata da Franz Boas (Sergi, 1912aSergi, Giuseppe (1912a), “Variazione e eredità nell’uomo”. En: Problems in Eugenics. Vol. I. Papers Communicated to the First International Eugenics Congress Held at the University of London. July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society, pp. 9-16 (traduzione inglese pp. 16-22).).

Per quanto riguarda la craniometria, Sergi metteva in dubbio il valore dell’indice cefalico, la misura introdotta negli anni Quaranta dell’Ottocento da Adolf Anders Retzius e poi applicata in modo sistematico per la classificazione razziale dagli antropologi francesi della scuola di Paul Broca. Tale indice, ricavato dal rapporto tra la larghezza e la lunghezza massima della testa, consentiva di distinguere i crani in brachicefali e dolicocefali (Blanckaert, 2009Blanckaert, Claude (2009), “L’indice céphalique et l’ethnogénie européenne: A. Retzius, P. Broca, F. Pruner-Bey”. En: Blanckaert, Claude, De la race à l’évolution: Paul Broca et l’anthropologie française, Paris, L’Harmattan, pp. 209-253.). Tuttavia, secondo Sergi, questa misura presentava ue limiti principali: non riusciva a rendere conto dell’estrema varietà e complessità della morfologia cranica; non permetteva di riconoscere le differenze tra crani appartenenti a razze diverse, con il rischio di proporre accostamenti arbitrari, come quelli tra popoli civilizzati e popoli selvaggi. Per quanto riguarda Boas, Sergi contestava i risultati dell’inchiesta da lui condotta tra il 1908 e il 1910 sui caratteri fisici dei discendenti degli immigrati europei che si erano stabiliti negli Stati Uniti (Boas, 1912Boas, Franz (1912), Changes in Bodily Form of Descendants of Immigrants, New York, Columbia University Press.). Secondo Boas, gli immigrati nati in America presentavano differenze fisiche significative rispetto ai membri delle loro famiglie nati nei paesi europei: in particolare, la forma della testa variava in rapporto al tempo intercorso tra l’arrivo dei genitori sul suolo americano e la nascita dei loro figli, dipendeva cioè da quanto i genitori erano stati esposti alle nuove condizioni ambientali. Per Sergi, il mutamento ipotizzato da Boas era soltanto la conseguenza di un errore di metodo dovuto a un uso improprio degli strumenti statistici e a comparazioni effettuate su serie di crani troppo limitate (Sergi, 1912bSergi, Giuseppe (1912b), “La pretesa influenza dell’ambiente sui caratteri fisici dell’uomo”, Rivista italiana di sociologia, 1, pp. 16-24.). La forma della testa, secondo Sergi, non dipendeva dalle influenze esterne: la brachicefalia e la dolicocefalia erano forme craniche originarie e contemporanee nella loro apparizione. In chiusura della sua relazione, Sergi esprimeva il proprio scetticismo sul valore universale delle leggi mendeliane: per lui, erano “necessarie nuove osservazioni e rigorose per potere stabilire con sicurezza che l’eredità umana proceda secondo il concetto di Mendel” (Sergi, 1912, p. 14Sergi, Giuseppe (1912a), “Variazione e eredità nell’uomo”. En: Problems in Eugenics. Vol. I. Papers Communicated to the First International Eugenics Congress Held at the University of London. July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society, pp. 9-16 (traduzione inglese pp. 16-22).).

Un altro acceso critico della genetica mendeliana era lo psichiatra e antropologo Enrico Morselli (1852-1929). Dopo aver ottenuto la laurea in medicina e chirurgia all’Università di Modena, nel 1874 Morselli divenne assistente volontario al San Lazzaro di Reggio Emilia, il centro in cui nacque la psichiatria italiana come disciplina autonoma, e contemporaneamente vinse anche un posto di perfezionamento presso l’Istituto di Studi superiori di Firenze, diretto da Mantegazza. A soli venticinque anni fu nominato direttore del manicomio provinciale di Macerata, quindi assunse nel 1880 la direzione del manicomio di Torino, incarico a cui affiancò anche la docenza universitaria in psichiatria (sua fu la prima cattedra della disciplina in Italia). A Torino Morselli si batté per rinsaldare i rapporti tra clinica e università e per eliminare i mezzi di coercizione ancora usati nell’istituto di cura: in entrambi i casi incontrò una ferma opposizione da parte dell’amministrazione manicomiale, tanto che nel 1888 fu costretto a dimettersi e a trasferirsi all’Università di Genova, dove rimase fino al 1937, quando si ritirò dall’insegnamento (Guarnieri, 1986Guarnieri, Patrizia (1986), Individualità difformi. La psichiatria antropologica di Enrico Morselli, Milano, Franco Angeli.).

Morselli fu una delle personalità più influenti del positivismo italiano e fu tra i primi a usare il termine “degenerazione”: lo fece in un articolo del 1875 dal titolo Il suicidio nei delinquenti, in cui sosteneva che lo studio delle degenerazioni morali e fisiche nell’uomo aveva dato negli ultimi anni “preziosi risultati” in ambito psicologico e antropologico, soprattutto in riferimento all’individuazione delle analogie tra criminali, selvaggi e pazzi: secondo Morselli, numerosi erano i punti di contatto tra le “razze superiori degenerate moralmente” e le “razze antropologicamente inferiori” (Morselli, 1875, p. 88Morselli, Enrico (1875), “Il suicidio nei delinquenti. Studio statistico e medico-legale”, Rivista sperimentale di freniatria, I, pp. 88-107, 236-256.). Contestualmente, Morselli condusse, con il suo assistente Augusto Tamburini, un’indagine sull’antropologia e la fisiologia di dodici “idioti” (termine con il quale si indicava lo stadio infimo della debolezza mentale, più grave del cretinismo e dell’imbecillità), ricoverati al San Lazzaro (Morselli, Tamburini, 1875-1876Morselli, Enrico; Tamburini, Augusto (1875-1876), “Contributo allo studio sperimentale delle degenerazioni fisiche e morali dell’uomo. I. Idioti”, Rivista sperimentale di freniatria e di medicina legale in relazione con l’antropologia e le scienze giuridiche e sociali, I, pp. 48-65, pp. 186-199, pp. 306-319; II, pp. 552-567.). Secondo i due studiosi, negli idioti si concentravano quei caratteri fisici che costituivano una deviazione dal tipo antropologico normale e che erano dovuti ad atavismo o ad arresto di sviluppo: dalle malformazioni del cranio alle orecchie ad ansa, dalla fronte sfuggente alla sproporzione degli arti, dal cattivo odore della pelle all’eccessiva presenza di peli sulla fronte. La presenza di tali caratteri rendeva gli idioti simili ai selvaggi, alle bestie e ai criminali.

Pur polemizzando negli anni successivi con l’uso a suo dire estensivo del concetto di degenerazione (Morselli, 1906Morselli, Enrico (1906), “Introduzione”. En: Brugia, Riccardo, I problemi della degenerazione, Bologna, Zanichelli.), Morselli rimase convinto che l’eugenica dovesse fondarsi proprio sullo studio dei segni degenerativi e dell’eredità patologica. L’eugenica per Morselli doveva essere una disciplina insieme “conoscitiva” e “preventiva”: “conoscitiva” perché avrebbe dovuto rivelare il funzionamento dei meccanismi dell’eredità, in particolare la trasmissione dei caratteri acquisiti, e chiarire in che modo l’azione dei fattori sociali potesse migliorare o far decadere il tipo morfologico e psicologico umano; “preventiva” perché avrebbe dovuto eliminare le potenziali cause di degenerazione, soprattutto ambientali, consentendo così il perfezionamento della specie (Morselli, 1912bMorselli, Enrico (1912b), “La psicologia etnica e la scienza eugenistica”, Rivista di psicologia, 1912, pp. 289-293.). Almeno fino allo scoppio della Grande guerra, Morselli respinse la sterilizzazione, la segregazione e il divieto del matrimonio per i tarati. Al pari di Sergi, infatti, considerava queste misure insufficienti e inapplicabili a causa dell’opposizione della Chiesa cattolica e dell’attaccamento delle società occidentali alla libertà e all’autodeterminazione della persona. Più efficace appariva l’educazione, grazie alla quale individui e gruppi potevano sviluppare un senso di responsabilità verso la collettività e acquisire consapevolezza dei danni provocati da patologie ereditarie (Morselli, 1915Morselli, Enrico (1915), “L’eugenica e le previsioni sulla eredità neuro-psicopatologica”, Quaderni di psichiatria, II, pp. 321-331., 1916Morselli, Enrico (1916), “La rivendicazione delle “leggi di Morel””, Quaderni di psichiatria, III, pp. 272-278.). Il primo conflitto mondiale aveva dimostrato infatti che l’interesse del singolo doveva essere sempre subordinato al bene delle nazioni. Ancora negli anni Venti, Morselli prenderà le distanze sia da Charles Richet, sia dalle considerazioni di Karl Binding e Alfred Hoche sulle “vite indegne di essere vissute” (Morselli, 1923Morselli, Enrico (1923), L’uccisione pietosa (l’eutanasia) in rapporto alla medicina, alla morale ed all’eugenica, Torino, F.lli Bocca.).

Nella sua breve relazione londinese, Morselli invitò i partecipanti a riflettere sull’importanza dello studio della psicologia delle razze in campo eugenico (Morselli, 1912aMorselli, Enrico (1912a), “La psicologia etnica e la scienza eugenistica”. En: Problems in Eugenics. Vol. I. Papers Communicated to the First International Eugenics Congress Held at the University of London. July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society, pp. 58-60 (traduzione inglese pp. 60-62).). Secondo lui, i vari gruppi etnici si differenziavano non solo dal punto di vista dei caratteri fisici, ma anche di quelli psichici, che erano in parte innati, in parte determinati dalle condizioni di vita e dalla capacità di adattamento all’ambiente. Questi “caratteri di razza” erano il motore dell’evoluzione e del progresso umano e per questo dovevano essere salvaguardati. Ogni gruppo razziale, perciò, avrebbe dovuto regolare le proprie unioni in modo consapevole e autonomo proponendosi di conservare intatto il tipo etnico di appartenenza e i caratteri somatici e psichici che lo contraddistinguevano. L’eugenica stessa avrebbe dovuto tener conto di queste diversità, rispettando la gerarchia naturale esistente tra le razze ed evitando di imporre un’eguaglianza forzata.

Tuttavia, l’insistenza sulla differenziazione etnica sembrava in contrasto con il modello del Metanthropos, l’“uomo dell’avvenire” tratteggiato da Morselli poco prima della partecipazione al congresso di Londra (Morselli, 1911aMorselli, Enrico (1911a), Antropologia generale. L’uomo nella teoria dell’evoluzione. Lezioni dettate nelle Università di Torino e Genova (Corsi liberi dal 1887 al 1908), Torino, Utet.; 1911bMorselli, Enrico (1911b), “La lotta per l’etnarchia”, Nuova antologia, CLI, pp. 231-246; 1911cMorselli, Enrico (1911c), “Le razze umane e il sentimento di superiorità etnica”, Rivista italiana di sociologia, 3-4, pp. 321-360.). Dotato di un organismo perfettamente armonico e di una sensibilità raffinata, forte fisicamente e brillante dal punto di vista intellettuale, oltre che capace di dominare la natura, il Metanthropos descritto da Morselli mirava all’uniformità fisica e psichica ed era il risultato tanto di uno scontro tra le razze quanto di una attenta selezione artificiale. In un futuro prossimo, infatti, nella lotta tra le tre razze “arcimorfe” o “superiori” - negri, gialli e bianchi - avrebbero avuto la meglio questi ultimi, in grado di sfruttare a proprio vantaggio le risorse naturali e di non soccombere sotto i colpi di potenziali influenze esterne nocive. Ispirandosi alla zootecnia, uomini di Stato, medici, educatori e sociologi avrebbero dovuto puntare alla selezione dei migliori inculcando nella popolazione la necessità di rispettare il valore supremo della specie e di eliminare dalla riproduzione deboli, infermi e anormali.

Nella delegazione italiana a Londra, tra le poche voci italiane favorevoli al mendelismo vi era un ex allievo di Sergi, l’antropologo siciliano Vincenzo Giuffrida-Ruggeri (1872-1921). Quando era un giovane studioso, anche Giuffrida-Ruggeri si era interessato al problema della degenerazione: la sua tesi di laurea in medicina, dal titolo Sulla dignità morfologica dei segni detti degenerativi, sostenuta nel 1896 all’Università di Roma e subito dopo pubblicata in volume, si poneva idealmente nel solco delle Degenerazioni umane sergiane (Giuffrida-Ruggeri, 1897Giuffrida-Ruggeri, Vincenzo (1897), Sulla dignità morfologica dei segni detti degenerativi, Roma, Loescher.). La ricerca di Giuffrida-Ruggeri aveva un triplice obiettivo: ricostruire la storia dell’idea di degenerazione nella psichiatria e nell’antropologia criminale europee; illustrare dal punto di vista biologico i principali caratteri degenerativi dell’uomo, dalle anomalie craniche alle malformazioni degli arti; discutere il rapporto tra alcuni di questi caratteri e le malattie psichiche da cui si era affetti. Subito dopo la laurea, Giuffrida-Ruggeri proseguì le sue ricerche sul cranio umano e sull’antropologia patologica come tirocinante presso il manicomio San Lazzaro di Reggio Emilia. Nel 1900 tornò a Roma come assistente alla cattedra di antropologia di Sergi, sotto la cui direzione si avvicinò all’antropologia fisica delle razze e delle popolazioni preistoriche italiane. Ben presto, però, influenzato dalla lezione degli antropologi tedeschi, prese le distanze dal poligenismo sergiano propendendo per la tesi dell’unità dei gruppi etnici (“neomonogenismo”). I contrasti con Sergi si acuirono dopo il trasferimento di Giuffrida-Ruggeri prima all’Università di Pavia, poi all’Università di Napoli.

La relazione presentata da Giuffrida-Ruggeri a Londra era molto tecnica (Giuffrida-Ruggeri, 1912Giuffrida-Ruggeri, Vincenzo (1912), Le cosiddette leggi dell’ereditarietà nell’uomo. En: Problems in Eugenics. Vol. I. Papers Communicated to the First International Eugenics Congress Held at the University of London. July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society, pp. 28-38 (traduzione inglese pp. 38-47).), dal momento che il testo era l’anticipazione del primo capitolo del libro che avrebbe pubblicato di lì a pochi mesi, L’uomo attuale. Una specie collettiva (Giuffrida-Ruggeri, 1913, pp. 3-19Giuffrida-Ruggeri, Vincenzo (1913), L’uomo attuale. Una specie collettiva, Milano, Società editrice Dante Alighieri.). Giuffrida-Ruggeri sosteneva che l’eredità umana, analogamente a quanto avveniva nelle altre specie animali, seguiva le leggi mendeliane, come dimostravano numerosi esperimenti, tra cui quelli sull’iride condotti dai coniugi statunitensi Charles e Gertrude Davenport (C.B. Davenport, G.C. Davenport, 1907Davenport, Charles B.; Davenport, Gertrude C. (1907), “Heredity of Eye-Color in Man”, Science, 26 (670), pp. 589-592.) e dal genetista inglese Charles Chamberlain Hurst (Hurst, 1908Hurst, Charles Chamberlain (1908), “On the Inheritance of Eye-Colour in Man”, Proceedings of the Royal Society, LXXX, pp. 85-96.). Tali ricerche sembravano avvalorare l’idea che la teoria mendeliana fosse molto più attendibile e solida di altre spiegazioni dell’eredità umana, su tutte la legge ancestrale di Galton, per la quale gli antenati influivano sul genotipo della discendenza secondo proporzioni numeriche ben precise, variabili a seconda della prossimità rispetto alla prole. I principali meriti che Giuffrida-Ruggeri riconosceva al mendelismo erano l’aver dimostrato che i caratteri paterni o materni non venivano trasmessi in blocco, ma ciascun tratto veniva ereditato indipendentemente l’uno dall’altro, e l’aver documentato che ad essere ereditati non erano i caratteri presenti nell’individuo adulto, ma i loro determinanti contenuti nel plasma germinale prima che l’organismo del progenitore potesse giungere al suo completo sviluppo.

Dal punto di vista eugenico, per Giuffrida-Ruggeri non bastava agire sull’ambiente sociale per ottenere un miglioramento stabile dell’umanità, ma era necessario modificare i caratteri ereditari dell’uomo al fine di sradicare le tendenze antisociali e indurre variazioni positive che potessero entrare a far parte del patrimonio genotipico e quindi trasmettersi alle generazioni successive (Giuffrida-Ruggeri, 1920Giuffrida-Ruggeri, Vincenzo (1920), “Il problema fondamentale dell’eugenica”. En: Atti della Società Italiana di Genetica ed Eugenica, Roma, Tipografia del Senato, pp. 31-36.). Per produrre queste tendenze utili, era opportuno che lo Stato si occupasse direttamente del controllo delle unioni matrimoniali, mentre era da respingere la sterilizzazione degli inadatti proposta da Richet. Per Giuffrida-Ruggeri, si trattava di un rimedio “barbaro” e “violento”, non giustificato né dal punto di vista scientifico né da esigenze di protezione sociale.

LA QUALITÀ EUGENICA DEL PROLETARIATO

 

Tutti i relatori italiani a Londra si trovarono d’accordo su un punto: per le loro condizioni di vita e di lavoro e per le loro abitudini sessuali, le più esposte ai pericoli della degenerazione erano senza dubbio le classi povere. Durante la terza sezione del congresso, dedicata al rapporto tra sociologia ed eugenica, Loria, Niceforo e Michels si confrontarono sul valore eugenico delle classi meno abbienti adottando tre punti di vista diversi (economia, antropologia e teoria politica), tutti però, in un modo o nell’altro, vicini al socialismo.

Il primo a prendere la parola fu Achille Loria (1857-1943), docente all’Università di Torino. Ammiratore e corrispondente di Marx, nella seconda metà dell’Ottocento Loria era stato un punto di riferimento teorico degli ambienti socialisti europei (Varejão, 1997Varejão, Marcela (1997), Achille Loria. Saggio sulla fortuna di un positivista in Italia e all’estero, Milano, Unicopli.). Tuttavia, a partire dalla fine del secolo e più ancora con l’inizio di quello successivo, la sua stella aveva iniziato a declinare per una serie di critiche che l’avevano investito: Friedrich Engels, nella prefazione al terzo libro del Capitale, lo aveva accusato di aver travisato le teorie di Marx e di essersi attribuito impropriamente la paternità della concezione materialistica della storia (Bravo, 1971Bravo, Gian Mario (1971), “Friedrich Engels und Achille Loria: ihre Beziehungen, ihre Polemiken”. En: Friedrich Engels 1820-1970, Referate, Diskussionen, Dokumente, Internationale wissenschaftliche Konferenz in Wuppertal vom 25-29 Mai 1970, Hannover, Verlag für Literatur und Zeitgeschehen, pp. 175-188.; Ottaviano, 1982Ottaviano, Chiara (1982), “Achille Loria. L’economista e la politica”. Il pensiero politico, XV (1), pp. 287-294. ); da parte sua, Antonio Gramsci lo riteneva l’esponente del positivismo più deteriore, al punto da coniare addirittura l’espressione di “lorianesimo” per indicare alcuni aspetti deprecabili che caratterizzavano la vita culturale italiana (come l’assenza di spirito critico e la negligenza nello svolgimento dell’attività scientifica).

La relazione di Loria a Londra prendeva avvio da una critica all’eugenica dominante, a cui veniva rimproverato di essersi concentrata solo sulla “selezione sessuale”, vale a dire su una distinzione rigida tra individui superiori da un punto di vista fisico e morale, a cui era concesso di sposarsi, e individui inferiori, a cui invece doveva essere vietato riprodursi (Loria, 1912Loria, Achille (1912), “Élite fisio-psichica ed élite economica”. En: Problems in Eugenics. Vol. I. Papers Communicated to the First International Eugenics Congress Held at the University of London. July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society, pp. 175-179 (traduzione inglese pp. 179-183).). Questo modo di interpretare l’eugenica appariva deficitario. In primo luogo, era molto difficile, se non impossibile, stabilire una gerarchia tra gli uomini sulla base delle loro attitudini fisiche e mentali. Lo stesso metodo adottato da Galton nelle sue ricerche sulla genialità e il talento era giudicato da Loria incerto e soggettivo perché troppo dipendente dai pregiudizi dell’osservatore. In secondo luogo, era necessario tener conto di una possibile, improvvisa ricomparsa di caratteri nocivi rimasti latenti per generazioni, ovvero dell’atavismo. In terzo luogo, non si conoscevano abbastanza a fondo i fenomeni ereditari e non era stata ancora dimostrata la validità delle leggi mendeliane per l’uomo. In particolare, per Loria, dovevano essere respinti tutti i tentativi di impedire al proletariato di riprodursi, dal momento che i figli degli operai non presentavano affatto condizioni di inferiorità congenite. Al contrario, spesso al momento della nascita si trovavano in buona salute e in piena efficienza fisica; a determinarne la corruzione e la depravazione erano la povertà e i contesti degradati in cui venivano cresciuti. Per questo, secondo Loria, l’eugenica basata sulla selezione sessuale doveva essere soppiantata da una “eugenica miglioratrice” che puntasse al perfezionamento dell’ambiente sociale attraverso l’adozione di provvedimenti contro l’alcolismo, la lotta alla malaria e alle malattie sessualmente trasmissibili, la tutela delle madri e l’attenzione alle giovani generazioni (Loria, 1926Loria, Achille (1926), “Una scienza nuova: l’eugenica. Conferenza tenuta al Policlinico di Napoli il 19 dicembre 1925”, La Parola, 10 ottobre 1926, pp. 189-197.).

Loria negava quindi l’esistenza di un rapporto causale fra ricchezza e sviluppo psicofisico. Tutti i suoi sforzi erano tesi a dimostrare l’inattendibilità della convinzione secondo la quale i gruppi detentori della ricchezza possedevano qualità intellettuali e morali superiori rispetto alla media. Le motivazioni che adduceva per contrastare questa equiparazione erano due. In primo luogo, la lotta per l’acquisizione della ricchezza (la “lotta fra i redditi”) non premiava necessariamente i più intelligenti o gli individui con una condotta irreprensibile (Loria, 1909, pp. 279-380Loria, Achille (1909), La sintesi economica. Saggio sulle leggi del reddito, Torino, F.lli Bocca.). Spesso accadeva proprio il contrario. Tale lotta, che costituiva il fondamento della società e della stessa storia, era dominata dalla violenza, dalla frode e dalla tendenza a costituire monopoli economici. In secondo luogo, vi era la cosiddetta “selezione coniugale”. Poiché gli individui appartenenti a ceti abbienti tendevano a sposarsi soltanto tra di loro, se davvero fossero stati i depositari di qualità superiori rispetto al resto della popolazione, avrebbero dovuto dar vita sempre a una discendenza sana e forte. In realtà, di frequente si verificava il fenomeno opposto: i matrimoni tra ricchi producevano una prole malata e debole, la cui degenerazione si aggravava di generazione in generazione, fino a determinare l’estinzione della famiglia colpita, secondo quella legge della degradazione progressiva descritta dall’alienista francese Bénédict-Augustin Morel (Morel, 1857, p. 125Morel, Bénédict-Augustin (1857), Traité des dégénérescences physiques, intellectuelles et morales de l’espèce humaine et des causes qui produisent ces variétés maladives, Paris, Baillière, 1857.; 1860, pp. 515-516Morel, Bénédict-Augustin (1860), Traité des maladies mentales, Paris, Masson.).

Il bersaglio implicito dell’intervento di Loria erano le tesi di Otto Ammon e Georges Vacher de Lapouge, i fondatori dell’antroposociologia, un indirizzo che mirava a ripensare l’ordine sociale sulla base delle leggi delle scienze naturali, adottando una combinazione di determinismo razziale, selezione umana e critica della democrazia (Loria, 1908Loria, Achille (1908), “L’antropologia sociale”. En: Loria, Achille, Verso la giustizia sociale (Idee, battaglie ed apostoli). Vol. I. Nel tramonto di un secolo (1880-1904), Milano, Società editrice libraria, pp. 548-558.). Secondo Loria, le idee degli antroposociologi rappresentavano l’acritica applicazione della filosofia di Nietzsche all’analisi dei fenomeni sociali e pretendevano di ridurre lo studio delle comunità umane alla sola antropologia, trascurando il ruolo dell’economia politica. Per Loria, infatti, la società non era il risultato della lotta tra le razze, ma dei rapporti di produzione e dei processi di distribuzione del capitale. Tutte le teorie che, nel campo della selezione umana, ipotizzavano una dipendenza tra la superiorità del reddito e la superiorità dell’intelletto conducevano paradossalmente al contrario di ciò che si prefiggevano, vale a dire a un “nichilismo eugenico” (Loria, 1912, p. 183Loria, Achille (1912), “Élite fisio-psichica ed élite economica”. En: Problems in Eugenics. Vol. I. Papers Communicated to the First International Eugenics Congress Held at the University of London. July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society, pp. 175-179 (traduzione inglese pp. 179-183).), all’impossibilità di un’azione pratica. Il vero scopo dell’eugenica, ribatteva Loria, era procedere a un minuzioso esame dei caratteri dei singoli individui, senza lasciarsi influenzare dal loro status socioeconomico. Si trattava di un obiettivo difficile, che richiedeva un impegno da parte dell’intera collettività, ma che avrebbe condotto a “una umanità più squisita e migliore” (Loria, 1912, p. 179Loria, Achille (1912), “Élite fisio-psichica ed élite economica”. En: Problems in Eugenics. Vol. I. Papers Communicated to the First International Eugenics Congress Held at the University of London. July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society, pp. 175-179 (traduzione inglese pp. 179-183).).

Contrario alla posizione di Loria, e vicino all’antroposociologia di Vacher de Lapouge, era invece lo statistico e antropologo criminale siciliano Alfredo Niceforo (1876-1960), che al momento del congresso londinese insegnava statistica all’Università di Losanna. Allievo di Sergi, Niceforo aveva avuto una carriera folgorante, grazie anche alla pubblicazione nel 1897 del volume La delinquenza in Sardegna (Niceforo, 1897Niceforo, Alfredo (1897), La delinquenza in Sardegna. Note di sociologia criminale, prefazione di E. Ferri, Palermo, Sandron.). Il libro, frutto di un viaggio compiuto sull’isola per conto della Società romana di antropologia sergiana, aveva destato un animato dibattito negli ambienti culturali italiani (Dickie, 1999Dickie, John (1999), Darkest Italy. The Nation and Stereotypes of the Mezzogiorno, 1860-1900, New York, St. Martin’s Press.; Petraccone, 2005Petraccone, Claudia (2005), Le ‘due Italie’. La questione meridionale tra realtà e rappresentazione, Roma-Bari, Laterza.; Teti, 2011Teti, Vito (2011), La razza maledetta. Origini del pregiudizio antimeridionale, nuova edizione, Roma, Manifestolibri.; De Francesco, 2020De Francesco, Antonino (2020), La palla al piede. Una storia del pregiudizio antimeridionale, Milano, Feltrinelli.). La tesi oggetto di discussione era stata l’idea che la propensione dei sardi al crimine non dipendeva solo dalle degradate condizioni socioeconomiche e politiche della regione (centralismo imposto dallo Stato unitario, diffusione del latifondismo, incapacità della classe politica di amministrare con giustizia, pessimo stato delle vie di comunicazione e delle infrastrutture), ma era legata soprattutto alla particolare costituzione biologica e psicologica dei suoi abitanti, il cui processo evolutivo si era fatalmente arrestato. Pochi anni dopo, Niceforo aveva esteso la sua indagine a tutta la penisola, rilevando l’esistenza di profonde differenze a livello socioeconomico, antropologico, intellettuale e culturale tra gli abitanti dell’Italia del Sud e quelli dell’Italia del Nord (Niceforo, 1898Niceforo, Alfredo (1898), L’Italia barbara contemporanea. Studi e appunti, Palermo, Sandron.; 1901Niceforo, Alfredo (1901), Italiani del Sud e Italiani del Nord, Torino, F.lli Bocca.). Per suffragare la sua posizione, aveva ripreso le teorie di Sergi su ariani e mediterranei e aveva fatto riferimento a numerose indagini statistiche relative, ad esempio, alle pratiche alimentari, al tasso di analfabetismo e al numero di suicidi.

Fin dall’inizio del Novecento, Niceforo aveva affiancato alla criminologia l’interesse per un nuovo campo di ricerca, di cui si considerava l’ideatore: lo studio dell’antropologia delle classi povere. L’obiettivo era costruire monografie che non si limitassero a prendere in esame le condizioni economiche di determinati gruppi umani, ma si concentrassero sulla valutazione dei loro aspetti fisiologici, etnografici e psicologici. In una serie di inchieste antropometriche e psicometriche, svolte sia sugli studenti della città di Losanna sia sui contadini delle regioni dell’Italia centromeridionale, e in alcuni saggi teorici, Niceforo aveva sostenuto che negli strati più bassi della società, rappresentati nella città dal proletariato e nelle campagne dai contadini, si registrava una stretta correlazione tra inferiorità socioeconomica e inferiorità antropologica; che la “costituzione biopsichica” dei ceti inferiori era il risultato sia di “cause mesologiche” (condizioni di lavoro e abitative, qualità dell’alimentazione e igiene dell’ambiente) sia di fattori biologici (Niceforo, 1905Niceforo, Alfredo (1905), Les classes pauvres. Recherches anthropologiques et sociales, Paris, Girard et Brière.; 1908Niceforo, Alfredo (1908), Antropologia delle classi povere, Milano, Vallardi.). Questi ultimi includevano l’eredità, ovvero l’accumulo dei caratteri trasmessi dagli antenati, e l’inneità, vale a dire i caratteri acquisiti dall’individuo durante la vita intrauterina.

Nell’intervento al congresso di Londra, letto in francese, Niceforo proponeva una sintesi delle sue idee, ribadendo che le classi inferiori presentavano numerosi caratteri di inferiorità rispetto alle classi agiate. Dal punto di vista fisico e psicofisiologico, avevano una statura più bassa, una circonferenza cranica più piccola, una scarsa sensibilità, una minore resistenza alla fatica mentale, un ritardo nella pubertà, un rallentamento nella crescita e un maggior numero di anomalie e di arresti di sviluppo. Dal punto di vista demografico, erano caratterizzate da una maggiore mortalità e fecondità, una minore mobilità sul territorio, un’età inferiore al momento del matrimonio e una tendenza spiccata verso alcune forme di criminalità - razzie, omicidi, vendette - che potevano definirsi ataviche perché tipiche delle società primitive. In genere, continuava Niceforo, gli uomini che possedevano fin dalla nascita caratteri inferiori tendevano a far parte di uno strato sociale basso e a rimanervi nel corso della loro vita. Nonostante ciò, le classi povere comprendevano anche un ristretto gruppo di individui dotati di sensibilità superiore. L’eugenica doveva avere dunque un duplice scopo: intervenire sulle influenze ambientali che potevano produrre un deterioramento della razza; favorire il ricambio e la circolazione tra le classi, consentendo l’ascesa degli elementi inferiori meglio dotati. Data la preminenza dei fattori biologici, l’igiene e la medicina sociale preventiva da sole non erano sufficienti, perché non riuscivano a eliminare le cause profonde dell’inferiorità fisica e mentale, che si annidavano nel patrimonio ereditario dei singoli.

Le relazioni di Niceforo e Loria furono seguite da una discussione vivace (Problems II, pp. 50-53Problems II (1913), Problems in Eugenics. Vol. II. Report of Proceedings of the First International Eugenics Congress Held at the University of London July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society.). Il principe Pëtr Aleksaevič Kropotkin, che aveva rinnegato il suo status nobiliare per sposare la causa dell’anarchismo, elogiò Loria per aver richiamato l’attenzione dei partecipanti sul fondamento stesso dell’eugenica, ovvero sulla scelta del criterio più adatto per operare la selezione artificiale dell’umanità e per aver sottolineato che non esisteva un legame diretto tra classi elevate e superiorità biologica. Kropotkin, propugnatore di un’etica naturalistica fondata sulla solidarietà, si proponeva di conciliare lamarckismo e darwinismo, sottolineando l’importanza dell’ambiente e dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti e riducendo il ruolo della selezione naturale nel processo evolutivo (cf. Girón, 2003Girón, Álvaro (2003), “Kropotkin Between Lamarck and Darwin: The Impossible Synthesis”, Asclepio, 55 (1), pp. 189-214.). La selezione naturale, infatti, non operava per differenziare le varie specie, ma, meno ambiziosamente, per eliminare gli individui incapaci di adattarsi ai cambiamenti esterni. Dato l’accento posto sulle cause ambientali, l’obiettivo che l’eugenica avrebbe dovuto perseguire, per Kropotkin, non era certo la sterilizzazione o la marginalizzazione dei tarati, bensì la lotta alla povertà, origine di tutte le degenerazioni. In fondo, sosteneva Kropotkin, a essere davvero degenerate non erano le madri povere che allattavano al seno i loro bambini, perché non potevano ricorrere all’alimentazione artificiale a causa della scarsità dei loro mezzi, ma quelle ricche che non riuscivano a “sostenere tutti i doveri di una madre” per via delle loro condotte immorali. Al contrario di Kropotkin, il filosofo pragmatista Ferdinand Canning Scott Schiller criticò le conclusioni di Loria: era necessario che la superiorità intellettuale e la superiorità economica dipendessero l’una dall’altra, altrimenti si sarebbero trascurati i meriti individuali. La degenerazione della prole delle classi agiate, inoltre, non era un fenomeno biologico, come pretendeva Loria, ma anzitutto un “problema morale e sociale”, che poteva essere risolto attraverso una riforma dei sistemi educativi (cf. La Vergata, 2010La Vergata, Antonello (2010), Tantalo e Cassandra. L’eugenetica pragmatistica di F.S.C. Schiller. En: Piergiorgio Donatelli; Maurizio Mori (a cura di), Eugenio Lecaldano. L’etica, la storia della filosofia e l’impegno civile, Firenze, Le Lettere, pp. 462-484.).

Una posizione molto vicina a quella di Niceforo era sostenuta dal sociologo tedesco ma naturalizzato italiano, Robert Michels (1876-1936), che costituisce un esempio dei rapporti tra socialismo ed eugenica (Bosc, 2000Bosc, Olivier (2000), “Eugénisme et socialisme en Italie autour de 1900. Robert Michels et l’« éducation sentimentale des masses»”, Mil Neuf Cent, 18, pp. 81-108.). Appartenente a una famiglia dell’alta borghesia di Colonia, Michels aveva militato fin dai primi anni del Novecento sia nel Partito socialdemocratico tedesco sia nel Partito socialista italiano, impegnandosi in una assidua attività pubblicistica e partecipando a diversi congressi dei due partiti. Tra il 1907 e il 1909 si era allontanato però dagli ambienti socialdemocratici - da lui accusati di imborghesimento e parlamentarismo - e si era avvicinato alle posizioni del sindacalismo rivoluzionario francese. Nello stesso periodo si era appassionato alle teorie delle élites di Pareto e Gaetano Mosca e grazie all’interessamento di Loria, era riuscito a ottenere nel 1907 la libera docenza in economia politica all’Università di Torino. Nella città piemontese Michels aveva potuto frequentare l’abitazione di Lombroso, allora vivace centro intellettuale. Nel 1914, chiamato a insegnare all’Università di Basilea, ruppe ogni rapporto con Max Weber, che era stato suo maestro. Nel 1928 prese la tessera del Partito nazionale fascista e tornò in Italia per occupare, su decisione dello stesso Mussolini, la cattedra di economia generale e corporativa all’Università di Perugia, dove insegnò fino alla morte.

La relazione di Michels a Londra è strettamente legata alla sua opera maggiore, Zur Soziologie des Parteiwesens in der modernen Demokratie, dedicata proprio a Weber e pubblicata l’anno prima del convegno (Michels, 1911aMichels, Robert (1911a), Zur Soziologie des Parteiwesens in der modernen Demokratie. Untersuchungen über die oligarchischen Tendenzen des Gruppenlebens, Leipzig, Klinkhardt.). Nel volume Michels aveva enunciato la “legge ferrea dell’oligarchia”, secondo la quale ogni gruppo, dai partiti ai sindacati, indipendentemente dagli intenti che lo ispirano, tende a darsi un’organizzazione non democratica ma oligarchica. All’interno dei gruppi politici, infatti, si verifica sempre una scissione tra una minoranza o leadership, che governa e prende le decisioni, e una maggioranza che da questa è diretta. Una parte consistente dello scritto esaminava i meccanismi che consentivano la selezione dei leader nei partiti di massa. Tra questi, Michels si concentrava soprattutto sulla necessità per i gruppi di darsi una struttura interna, di organizzarsi cioè secondo una rigida divisione dei ruoli e delle funzioni; sulla maggiore competenza politica dimostrata dai dirigenti rispetto alla massa inerte, inesperta e indifferente verso le questioni della vita civile e verso il bene pubblico; sui cosiddetti “fattori psicologici”.

Proprio di questi ultimi Michels si occupò nell’intervento londinese (Michels, 1912Michels, Robert (1912), “Eugenics in Party Organisation”. En: Problems in Eugenics. Vol. I. Papers Communicated to the First International Eugenics Congress Held at the University of London. July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society, pp. 232-237.). Richiamandosi agli studi di psicologia delle folle di Gustave Le Bon, Gabriel Tarde e Scipio Sighele, sosteneva che nelle masse, anche quelle vicine ai partiti operai, vi era una tendenza innata a essere guidate da un capo e ad esercitare un vero e proprio culto della personalità. L’identificazione con il capo era forte a tal punto che i partiti prendevano spesso il nome dai loro leader o fondatori (marxisti, lassalliani, solo per citarne alcuni), proprio come avveniva con gli ordini monastici e le sette religiose. Per poter imporsi su questa folla amorfa e facile alla suggestione, era fondamentale che il leader possedesse anzitutto spiccate virtù retoriche, dal momento che la bellezza e la potenza della voce, la prontezza di spirito e l’arguzia erano molto più efficaci della solidità e della coerenza del discorso. Come accadeva per i delinquenti nati di cui aveva parlato Lombroso, esistevano veri e propri “oratori nati”, che rispondevano a un tipo antropologico con specifici caratteri, dall’impostazione della voce alla conformazione della bocca. Oltre a queste qualità oratorie, un buon capo politico avrebbe dovuto dimostrare volontà, determinazione, superiorità intellettuale rispetto al resto della popolazione, fiducia e sicurezza in se stesso e un certo grado di orgoglio e fanatismo.

Michels era convinto che il processo di selezione all’interno delle organizzazioni politiche, soprattutto nel caso dei movimenti socialisti, potesse svolgere una funzione positiva, favorendo l’ascesa sociale di operai capaci, che grazie alle proprie qualità intellettuali potevano riuscire ad abbondonare l’alienante lavoro di fabbrica e i ranghi del proletariato per entrare a far parte della classe media e diventare così “self-made men in politica” (Michels, 1912, p. 236Michels, Robert (1912), “Eugenics in Party Organisation”. En: Problems in Eugenics. Vol. I. Papers Communicated to the First International Eugenics Congress Held at the University of London. July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society, pp. 232-237.). Bisognava infatti invertire la tendenza tipica della società capitalistica e industriale avanzata, secondo la quale il posto nella società era determinato quasi esclusivamente dalla ricchezza economica, e valorizzare invece le capacità del singolo. Pur partendo da una prospettiva eminentemente politica, Michels sembrava perciò sostenere una tesi molto vicina a quella di Niceforo, che considerava il Marx dell’antropologia (Michels, 1910, p. 27Michels, Robert (1910), “Das Proletariat in der Wissenschaft und die ökonomisch-anthropologische Synthese”. En: Niceforo, Alfredo, Anthropologie der Nichtbesitzenden Klassen. Studien und Untersuchungen, Leipzig-Amsterdam, Maas & Van Suchtelen, pp. 3-28.; 1913, pp. 40-43Michels, Robert (1913), Saggi economico-statistici sulle classi popolari, Palermo, Sandron.).

L’eugenica invocata da Michels, però, non doveva limitarsi a migliorare le condizioni del proletariato, ma doveva far leva sull’igiene sessuale - argomento a cui era molto interessato, tanto da avervi dedicato addirittura un libro nel 1911 (Michels, 1911bMichels, Robert (1911b), Die Grenzen der Geschlechtsmoral, München-Leipzig, Frauenverlag (traduzione italiana di A. Polledro, I limiti della morale sessuale. Prolegomena: indagini e pensieri, Torino, F.lli Bocca, 1912).). L’obiettivo era impedire che gli individui inadatti potessero riprodursi. Gli strumenti per raggiungerlo erano, da una parte, il neomalthusianesimo, ovvero la limitazione volontaria delle nascite, di cui Michels stesso fu tra i più attivi propagandisti in Italia; dall’altra parte, la sterilizzazione obbligatoria per stupratori, criminali, alcolisti cronici e individui affetti da malattie ereditarie, anche se in quest’ultimo caso bisognava agire con prudenza tenendo conto delle ragioni etiche. Guardando con fiducia al sistema americano, Michels invocava perciò l’adozione di una legislazione eugenica anche in Italia, che avesse come scopo non quello di creare una razza di superuomini né di operare una selezione su base razziale, ma di dar vita a “un genere umano fisicamente, psichicamente e intellettualmente superiore all’attuale”, eliminando dalla “circolazione sessuale gli elementi fisicamente inadatti o moralmente inferiori” (Michels, 1919, pp. 1-2, 14Michels, Robert (1919), “Intorno al problema dell’eugenica”. En: Michels, Robert, Problemi di sociologia, Torino, F.lli Bocca, pp. 1-14.). Negli anni del fascismo, tuttavia, Michels abbandonò la fiducia nel controllo delle nascite, per sostenere una visione pronatalista e quantitativa dell’eugenica (Cassata, 2012Cassata, Francesco (2012), “Dalla qualità alla quantità. L’eugenica nel pensiero di Robert Michels”, Rivista di storia dell’Università di Torino, I (1), pp. 21-41.).

EUGENICA E INFANZIA

 

Nella riflessione eugenica degli italiani, il tentativo di perfezionare la natura umana era strettamente legato all’analisi dell’influenza sui neonati dell’ambiente e delle condizioni in cui avveniva il concepimento (Miranda, Vallejo, 2005Miranda, Marisa; Vallejo, Gustavo (comps.) (2005), Darwinismo social y eugenesia en el mundo latino, Buenos Aires, Siglo XXI Editores.; Turda, Gillette, 2014Turda, Marius; Gillette, Aaron (2014), Latin Eugenics in Comparative Perspective, London-New York, Bloomsbury.; La Vergata, 2009La Vergata, Antonello (2009), Colpa di Darwin? Razzismo, eugenica, guerra e altri mali, Torino, Utet.). Ad occuparsi a Londra di questi temi, trattati anche dal medico francese Adolphe Pinard, pioniere della puericultura, furono Antonio Marro e Conrado Gini. Laureatosi in medicina e chirurgia, Antonio Marro (1840-1913) era stato in gioventù assistente di Lombroso al gabinetto di medicina legale di Torino e medico nel carcere giudiziario locale, prima di ottenere nel 1890 la direzione del manicomio della città sabauda. La sua notorietà a livello europeo era legata soprattutto alla pubblicazione, nel 1887, del volume I caratteri dei delinquenti, con cui l’autore aveva vinto il concorso internazionale di antropologia criminale indetto dalla Rivista di discipline carcerarie (Marro, 1887Marro, Antonio (1887), I caratteri dei delinquenti. Studio antropologico-sociologico, Torino, F.lli Bocca.). Nel libro veniva proposta una classificazione delle degenerazioni molto simile a quella di Sergi, tanto che si parlò addirittura di un possibile plagio. In particolare, Marro distingueva le anomalie degenerative in tre gruppi: “ataviche”, quando riproducevano i caratteri dei progenitori o dei primati, come il mancato sviluppo del cervello e l’eccessiva lunghezza delle braccia rispetto al resto del corpo; “teratologiche” o “atipiche”, quando erano prodotte da cause morbose che agivano sull’organismo durante la vita intrauterina, come il rachitismo; “patologiche”, quando colpivano l’individuo dopo la nascita. Queste ultime erano particolarmente frequenti nei criminali e comprendevano un vasto insieme di caratteri: si andava dalle lesioni violente al capo che potevano avere conseguenze fatali per l’attività cerebrale alle alterazioni nel colore della pelle e alle paresi facciali, che potevano testimoniare una scarsa irrorazione sanguigna del cervello. Tra le influenze che predisponevano alla criminalità, Marro annoverava le cause ereditarie (età dei genitori e alcolismo), le cause ambientali e climatiche (stagione e giorno di nascita), le cause sociali (stato civile, professione, classe di appartenenza, grado di istruzione, sentimento religioso, interesse per le questioni politiche) e le cause psicofisiche (abitudini sessuali e malattie mentali).

A Londra Marro si concentrò su una soltanto tra quelle che definiva cause ereditarie, vale a dire l’influenza dell’età dei genitori al momento del concepimento sullo sviluppo psicofisico dei figli, riportando i dati di una comparazione da lui stesso effettuata tra 400 criminali, 2000 persone “oneste” e 100 alienati ricoverati nel manicomio di Torino (Marro, 1912Marro, Antonio (1912), “Influence de l’âge des parents sur les caractères psycho-physiques des enfants”. En: Problems in Eugenics. Vol. I. Papers Communicated to the First International Eugenics Congress Held at the University of London. July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society, pp. 100-118 (traduzione inglese pp. 118-136).). In primo luogo, Marro descriveva i presupposti sui quali si fondava l’indagine statistica. Da una parte, sulla base dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti, si poteva affermare che anche una condizione temporanea dei genitori, come l’ubriachezza, poteva avere un’influenza negativa sullo stato di salute della futura prole. Dall’altra parte, era possibile distinguere tre fasi nello sviluppo fisico dell’organismo umano: il periodo dell’immaturità, prima dei 25 anni, vale a dire l’età al di sotto della quale un uomo in Italia non poteva sposarsi senza avere il consenso dei genitori e in cui sia la struttura ossea che quella muscolare non erano ancora completamente formate; il periodo dello sviluppo completo, compreso tra i 26 e i 40 anni; il periodo della decadenza, che iniziava con il compimento dei 41 anni, quando aveva luogo una progressiva intossicazione dei tessuti dell’organismo. Ad ognuna di queste fasi corrispondeva uno stato psicologico specifico: l’immaturità equivaleva all’esaltazione degli aspetti sentimentali, alla scarsa capacità di resistenza alle passioni, alla prontezza nella risposta agli stimoli esterni, all’avversione per le occupazioni faticose; il momento dello sviluppo completo coincideva con il raggiungimento dell’equilibrio tra le facoltà psichiche; il periodo della decadenza fisica comportava il declino morale, tanto che l’individuo tendeva a essere egoista, sospettoso e prudente. Se al momento del concepimento il padre era “immaturo”, vi era quindi il rischio che trasmettesse alla prole un’inclinazione insana per i piaceri e le passioni. Se invece il padre aveva superato i 41 anni, era alta la probabilità di generare figli malinconici, poco affettivi e tendenti alla mania di persecuzione.

L’inchiesta di Marro dimostrava appunto che la maggior parte dei criminali era figlia di genitori immaturi o con un’età superiore ai 41 anni. I reati contro la proprietà erano particolarmente diffusi tra i figli di genitori giovani, dal momento che il movente principale del furto non era la volontà di danneggiare gli altri, ma l’incapacità di tenere a freno le proprie passioni. Assassini, aggressori e stupratori discendevano, invece, per la maggior parte da genitori anziani, perché in loro vi era assenza totale di sentimento. Un’ulteriore conferma a questa teoria giungeva da un altro campo di osservazione, la condotta scolastica e il livello intellettivo degli alunni delle scuole elementari del Regno d’Italia: esaminando un campione di un migliaio di studenti, Marro osservò che i figli di genitori anziani erano in genere malinconici, non brillavano per intelligenza e presentavano una predisposizione alle degenerazioni fisiche e morali. Per questo era necessario bandire le unioni tra persone troppo giovani o troppo anziane e impedire il matrimonio tra quelle categorie che rischiavano di trasmettere ereditariamente caratteri nocivi, come alcolisti cronici, epilettici, alienati e delinquenti recidivi (Marro, 1897, p. 498Marro, Antonio (1897), La pubertà studiata nell’uomo e nella donna in rapporto all’antropologia, alla psichiatria, alla pedagogia ed alla sociologia, Torino, F.lli Bocca.). Ricorrendo a una metafora cara a molti eugenisti, Marro era convinto che, come l’allevatore si sforzava di migliorare la qualità del bestiame, così il legislatore avrebbe dovuto preoccuparsi della buona riproduzione degli uomini, da cui dipendevano “il benessere e l’avvenire della società” (Marro, 1897, p. 490Marro, Antonio (1897), La pubertà studiata nell’uomo e nella donna in rapporto all’antropologia, alla psichiatria, alla pedagogia ed alla sociologia, Torino, F.lli Bocca.).

Anche per lo statistico Corrado Gini (1884-1965) lo studio delle condizioni in cui avveniva la riproduzione umana era essenziale per ottenere una popolazione più prolifica, longeva e sana (Cassata, 2006bCassata, Francesco (2006b), Il fascismo razionale. Corrado Gini tra scienza e politica, Roma, Carocci.). Dopo essersi laureato in giurisprudenza all’Università di Bologna, Gini iniziò giovanissimo a insegnare statistica all’Università di Cagliari, dove rimase fino al 1913. Si trasferì quindi a Padova e da lì passò nel 1925 a Roma, dove istituì la Facoltà di Scienze statistiche, demografiche e attuariali. Studioso di levatura internazionale, fu soprattutto con il fascismo, come vedremo, ad acquisire un posto di rilievo nella scienza italiana, sostituendo Sergi come leader del movimento eugenico nazionale. Nella sua relazione al congresso di Londra, Gini si proponeva di analizzare le ragioni dell’alto tasso di mortalità fatto registrare nell’uomo nell’età dello sviluppo, un tasso anomalo e più elevato rispetto a quello delle altre specie animali. Durante il congresso, fu letto un estratto della relazione (Gini, 1912Gini, Corrado (1912), “Contributi demografici ai problemi dell’eugenica”. En: Problems in Eugenics. Vol. I. Papers Communicated to the First International Eugenics Congress Held at the University of London. July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society, pp. 254-294.); solo al termine, Gini inviò il suo intervento completo, che fu pubblicato l’anno successivo nel secondo volume degli atti (Gini, 1913Gini, Corrado (1913), “The Contributions of Demography to Eugenics”. En: Problems in Eugenics. Vol. II. Report of Proceedings of the First International Eugenics Congress Held at the University of London July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society, pp. 75-171.). Analizzando un’ampia mole di dati provenienti dagli Uffici di statistica di Roma e Cagliari e da numerose cliniche ostetriche italiane, Gini dimostrava che a determinare l’alto tasso di mortalità nell’uomo erano le circostanze in cui avveniva il suo concepimento e il suo “allevamento” nelle società civili: (a) lo scarso intervallo di tempo che intercorreva tra un parto e quello successivo; (b) l’abitudine, sempre più diffusa, di preferire l’allattamento artificiale a quello al seno; (c) l’età avanzata dei riproduttori, molto alta nei paesi più avanzati, come aveva dimostrato lo stesso Marro; (d) l’esistenza nell’uomo della solidarietà sociale e di sentimenti altruistici, assenti negli animali, che portavano ad adottare in forma pubblica o privata misure a tutela dei deboli e dei malati. Anziché essere eliminati dal processo di selezione naturale, come per Gini sarebbe stato giusto che fosse, i degenerati erano perciò liberi di riprodursi.

I fattori (a), (b) e (c) incidevano negativamente sulla robustezza e la resistenza vitale dei bambini, esponendoli al pericolo di influenze esterne nocive. Col crescere dell’età dei genitori, ad esempio, e in particolare di quella della madre, aumentava la mortalità infantile e il numero di aborti spontanei. Al contrario, la precocità dei matrimoni era un vero e proprio fattore di evoluzione delle nazioni, dal momento che dava luogo a unioni non solo più prolifiche rispetto alla media, ma che avevano anche un’alta probabilità di generare bambini sani, robusti e di buon temperamento. Il fattore (d) era deleterio per la salute della razza e una potenziale minaccia per la civiltà sia direttamente, perché causava la nascita di nuovi tarati, sia indirettamente, perché produceva ambienti potenzialmente “degenerogeni”, vere e proprie “colture di microbi” (Gini, 1913, p. 157Gini, Corrado (1913), “The Contributions of Demography to Eugenics”. En: Problems in Eugenics. Vol. II. Report of Proceedings of the First International Eugenics Congress Held at the University of London July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society, pp. 75-171.), capaci di diffondersi e infettare anche i sani. Molto meno influenti sulla salute dei neonati erano invece la stagione del concepimento, il mese di nascita e la razza di appartenenza dei genitori.

Alla luce di queste riflessioni l’eugenica assumeva un’importanza cruciale e doveva concentrarsi soprattutto su quattro aspetti: maggiore intervallo tra i parti, allattamento naturale, matrimoni precoci, ostacoli alla riproduzione dei deboli e dei degenerati. Di questi, il più attuabile sul breve periodo era l’abbassamento dell’età matrimoniale della donna perché non era in contrasto né con esigenze egoistiche né con sentimenti di solidarietà sociale e di compassione; anzi veniva incontro ai “desideri della fanciulle” e ai “gusti estetici degli uomini” (Gini, 1913, p. 159Gini, Corrado (1913), “The Contributions of Demography to Eugenics”. En: Problems in Eugenics. Vol. II. Report of Proceedings of the First International Eugenics Congress Held at the University of London July 24th to 30th, 1912, London, The Eugenics Education Society, pp. 75-171.).

Queste considerazioni di Gini si inserivano all’interno di una complessa teoria demografica, costruita sulla metafora organicista - le società umane seguivano un ciclo di sviluppo simile a quello dell’organismo individuale (giovinezza, maturità e decadenza senile) - influenzata dal pensiero di Pareto e fondata su due principi: anzitutto, l’idea che le “classi alte” avevano un tasso di riproduttività inferiore rispetto alle classi medie e alle “classi basse” (la cosiddetta fertilità differenziale); inoltre, la necessità di un ricambio delle élites, poco prolifiche, che era garantita dalla “forza ascensionale” degli strati popolari. La giovinezza consisteva nell’espansionismo demografico della nazione, che trovava sbocchi in modo pacifico attraverso le migrazioni o in modo violento attraverso le guerre; il processo di invecchiamento corrispondeva invece alla diminuzione della natalità e si accompagnava al declino socioeconomico della nazione. Da qui discendeva il rifiuto di un’eugenica “selettiva”, basata sul controllo delle nascite e sulla selezione dei matrimoni da parte dello Stato, a favore di un’eugenica “rinnovatrice”, che doveva puntare all’aumento della prolificità e che associava un valore positivo agli incroci razziali. I tre principi su cui si basava l’eugenica di Gini erano dunque “popolazionismo, migrazioni, incroci” (Cassata, 2006b, p. 175Cassata, Francesco (2006b), Il fascismo razionale. Corrado Gini tra scienza e politica, Roma, Carocci.).

L’EUGENICA ITALIANA DOPO LONDRA

 

Nata dalla cultura positivistica di fine Ottocento, l’eugenica italiana si pose alla confluenza di diversi ambiti di ricerca: antropologia, psichiatria e sociologia, in prima battuta, ma anche teoria politica ed economia. E la disparità degli interventi tenuti a Londra, così come gli itinerari intellettuali dei relatori, testimonia questa varietà di interessi. L’attenzione degli studiosi italiani per l’eugenica era motivato, anzitutto, dalla possibilità di contribuire al progetto sociopolitico di costruire una nazione che aveva da poco raggiunto l’unità territoriale e politica e di difendere l’integrità fisica e “morale” della sua popolazione dai pericoli della degenerazione. Proprio quest’ultimo concetto (e i suoi correlati, quali declino e decadenza) conobbero una diffusione ragguardevole, incarnando il timore di un possibile cedimento della società di fronte alle imponenti trasformazioni innescate dai processi di modernizzazione: dall’industrializzazione all’irruzione delle masse in politica, dall’urbanismo allo sviluppo di nuove forme di conflittualità sociale (Pick, 1999Pick, Daniel (1999), Volti della degenerazione. Una sindrome europea, 1848-1918, traduzione italiana di S. Minucci, Firenze, La Nuova Italia.; Simonazzi, 2013Simonazzi, Mauro (2013), Degenerazionismo. Psichiatria, eugenetica e biopolitica, Milano, B. Mondadori.). L’eugenica italiana, ed europea, fu anche il tentativo di rispondere alla crisi della modernità e alla crisi dell’idea di progresso (nonché a quella della ragione), su cui la modernità si era fondata (Turda, 2010Turda, Marius (2010), Modernism and Eugenics, London, Palgrave Macmillan.). Proprio il positivismo, che aveva esaltato la possibilità di un avanzamento continuo del sapere e di un miglioramento altrettanto costante delle condizioni di vita degli esseri umani per mezzo degli strumenti messi a punto dalla scienza e dalla tecnica, aveva mostrato che il progresso era una conquista fragile e poteva facilmente tramutarsi nel suo contrario. La natura umana, infatti, aveva conservato - persino tra i popoli civilizzati - tratti bestiali e primitivi che potevano riapparire all’improvviso e determinare la perdita parziale o totale dei risultati raggiunti dalla civilizzazione. Poteva accadere così che il progresso non fosse una linea continua verso il meglio, ma fosse caratterizzato da arresti di sviluppo o da ritorni a stadi dell’evoluzione già superati. La stasi, o peggio il regresso, erano sempre in agguato (Sasso, 1988Sasso, Gennaro (1988), Tramonto di un mito. L’idea di progresso tra Ottocento e Novecento, Bologna, Il Mulino.; Altini, 2015Altini, Carlo (2015), Progresso, Pisa, Edizioni della Normale.; Schiavone, 2020Schiavone Aldo (2020), Progresso, Bologna, Il Mulino.).

L’analisi delle relazioni presentate durante il Congresso di Londra rivela che il frastagliato continente della prima eugenica italiana, quella cioè precedente allo scoppio della Prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo, non possa essere compreso ricorrendo a quelle categorie interpretative che ancora oggi sembrano influenzare il dibattito storiografico sul movimento eugenico internazionale: da una parte, l’eugenica latina, che sarebbe stata attenta soprattutto al miglioramento delle condizioni ambientali, attraverso l’igiene, la medicina preventiva, le politiche in difesa della salute delle madri e dei neonati e l’introduzione di riforme sociali, e che perciò sarebbe da associare al neolamarckismo; dall’altra parte, l’eugenica anglosassone, tesa all’eliminazione o alla segregazione dei soggetti degenerati e quindi legata all’accettazione del mendelismo. In realtà, ben prima della presa del potere del fascismo, l’eugenica italiana (e non solo quella italiana perché il discorso potrebbe facilmente estendersi ad altri contesti nazionali) tenne insieme l’ambiente e l’ereditarietà, le riforme e la repressione, lo slancio progressista e il controllo della popolazione e dei suoi comportamenti sessuali. Dimensioni che non erano affatto ritenute in contrasto nel dibattito scientifico e intellettuale dell’epoca: si poteva essere neolamarckiani e attenti alle condizioni di vita delle classi meno abbienti e al contempo appoggiare misure eugeniche repressive, così come si poteva essere mendeliani e sostenere la necessità di un generale rinnovamento sul piano medico, sociale, politico ed economico.

A tal proposito, si deve segnalare che molti degli eugenisti italiani che presero parte al congresso di Londra (tra loro, Sergi, Morselli, Michels) non erano contrari alla sterilizzazione degli inadatti. Il loro rifiuto della sterilizzazione non si basava su motivi filantropici, ma era dovuto semplicemente al fatto che tale misura era ritenuta impraticabile per ragioni in parte contingenti, in parte “storiche”: come era possibile sterilizzare interi gruppi umani, e non singoli pazienti? Come si poteva vincere la resistenza di una popolazione tradizionalmente restia ad accettare l’ingerenza del potere politico e medico nella sfera personale? Come si potevano persuadere le istituzioni cattoliche dell’utilità di tale pratica? Ecco perciò che il concetto storiografico di eugenica latina applicato all’Italia mostra almeno due limiti: anzitutto, non riesce a cogliere la ricchezza delle posizioni in campo, che vanno ben al di là della tensione tra eredità e ambiente; quindi, si richiama alle categorie usate dagli stessi eugenisti, i quali, soprattutto nel periodo del fascismo, tendevano, spesso per opportunismo, a sottolineare la loro distanza dai metodi coercitivi adottati dai paesi germanici e anglosassoni (Rosental, 2016Rosental, Paul-André (2016), Destins de l’eugénisme, Paris, Éditions du Seuil.; Montaldo, 2018Montaldo, Silvano (2018), “Eugenica “latina”? Criminologia e sterilizzazioni femminili in Italia a fine ’800”, Passato e Presente. Rivista di storia contemporanea, 36 (104), pp. 19-43.). Ma lo storico può davvero accontentarsi di usare le categorie degli attori della storia, per di più se tali categorie sono già cariche di una forte connotazione ideologica? Non vi è forse il rischio di lasciarsi sfuggire la complessità dei processi storici?

Né il ritardo nella ricerca sperimentale sul mendelismo né lo scetticismo verso l’applicabilità delle leggi mendeliane all’uomo possono essere interpretati semplicisticamente come indizi della predilezione degli scienziati italiani per l’ambiente rispetto all’eredità. Persino dopo la riscoperta degli scritti di Mendel da parte dei botanici Hugo de Vries, Carl Correns e Erich von Tschermak continuarono infatti a coesistere diverse ipotesi sul funzionamento dell’eredità umana: tra queste, la teoria della pangenesi di Darwin, la teoria del plasma germinale di Weissmann, la teoria delle stirpi di Galton e la teoria delle mutazioni di de Vries. Almeno per i primi due decenni del Novecento, dunque, opporsi al mendelismo non significava disinteressarsi ai meccanismi di trasmissione dei caratteri. Un esempio del giudizio non lineare che gli eugenisti espressero sulla nascente genetica e al contempo del loro interesse per le forme dell’eredità patologica è rappresentato dal caso di Sergi. Quest’ultimo fu dapprima uno strenuo oppositore del mendelismo, ai cui fautori rimproverava uno scarso rigore terminologico, una concezione vaga dell’origine delle variazioni e il rifiuto del darwinismo. Proprio in contrasto con i mendeliani, e in particolare con il biologo inglese William Bateson, Sergi si avvicinò alla scuola biometrica, che considerava più rispettosa della “lettera” della dottrina darwiniana. Tuttavia, anche in questa circostanza il suo atteggiamento fu improntato a grande prudenza. Sergi, infatti, non accettava alcuni fondamenti della scuola biometrica: era, ad esempio, incerto sul valore della statistica delle popolazioni ed era contrario alla legge ancestrale di Galton. Dopo la Grande guerra, Sergi finì con l’accettare alcuni aspetti del mendelismo (l’indipendenza dei caratteri nella trasmissione e la loro latenza), senza però mai dirsi d’accordo su una possibile conciliazione tra genetica ed evoluzione darwiniana (Volpone, 2011Volpone, Alessandro (2011), “Giuseppe Sergi, ‘Champion’ of Darwinism?”, Journal of Anthropological Sciences, 89, pp. 1-11.). Tale atteggiamento era tutt’altro che isolato; è anzi tipico di gran parte del contesto eugenico italiano (Volpone, 2008Volpone, Alessandro (2008), Gli inizi della genetica in Italia, Bari, Cacucci.).

Come si ricordava nell’introduzione, il congresso di Londra aprì la strada all’istituzionalizzazione del movimento eugenico grazie all’avvio nel 1912 del primo corso libero di eugenica sociale all’Università di Genova, affidato al ginecologo Serafino Patellani, e alla fondazione nel 1913 del Comitato italiano per gli studi di eugenica. Nato in seno alla Società romana di antropologia, su proposta di Sergi e Niceforo, lo scopo del Comitato era, secondo l’insegnamento di Galton, “lo studio dei fattori che possono migliorare o peggiorare le qualità delle generazioni future, sia per l’aspetto fisico, sia per l’aspetto psichico” (Atti, 1913, p. 545“Atti del Comitato Italiano per gli Studi di Eugenica” (1913), Rivista di antropologia, XVIII, pp. 543-554.) e dei provvedimenti legislativi per concretizzare queste aspirazioni. Tutti i relatori londinesi aderirono al Comitato, con l’eccezione di Morselli e Marro, morto nel giugno dello stesso anno. Nel novembre 1913 il numero dei soci ammontava a cinquantotto: vi erano psichiatri, antropologi, fisiologi, igienisti, ginecologi, statistici e giuristi. Sergi fu nominato presidente, mentre Gini e Niceforo membri del comitato direttivo. Ben presto, sarà la personalità di Gini a emergere all’interno dell’organizzazione, grazie anche al suo attivismo in campo internazionale: su sua proposta, si decise di inviare un questionario a più di quattrocento docenti universitari italiani, con domande tese a indagare la superiorità dei primogeniti rispetto ai loro fratelli, argomento di cui si era a lungo occupato. L’inchiesta rimase però un unicum perché il Comitato italiano per gli studi di eugenica ebbe vita molto breve.

La fallimentare esperienza del Comitato e quella tragica della Prima guerra mondiale si rivelarono decisive nel ridefinire i rapporti di forza nell’ampia e variegata galassia dell’eugenica italiana. Nel primo dopoguerra, infatti, l’ormai anziano Sergi abbandonò i suoi interessi per la selezione umana, preferendo concentrarsi sullo studio dell’antropologia razziale e del popolamento europeo in epoca preistorica; al contrario, il giovane Gini era in piena ascesa nella comunità accademica e scientifica italiana e internazionale. Nel 1919 fondò insieme ad Artom e al ginecologo Ernesto Pestalozza la Società italiana di genetica ed eugenica (Sige); nel 1921 partecipò con Giuffrida-Ruggeri e l’antropologo Fabio Frassetto al secondo congresso internazionale di eugenica, che si tenne a New York; nel 1924 prese parte al congresso di eugenica sociale, svoltosi a Milano; nel 1929 organizzò a Roma il secondo congresso di genetica ed eugenica e nel 1931, sempre nella capitale, il congresso internazionale per gli studi sulla popolazione. Tra le metà degli anni Venti e il 1932, in qualità di presidente dell’Istituto centrale di statistica (Istat) e del Comitato italiano per lo studio dei problemi della popolazione (Cisp), fornì inoltre un contributo decisivo alle campagne nataliste del fascismo, rivedendo e perfezionando la propria teoria ciclica delle nazioni e mettendo a disposizione del regime i dati delle proprie ricerche sulla correlazione tra potenza della nazione e sua vitalità demografica (Ipsen, 1996Ipsen, Carl (1996), Dictating Demography. The Problem of Population in Fascist Italy, Cambridge, Cambridge University Press.; Treves, 2001Treves, Anna (2001), Le nascite e la politica nell’Italia del Novecento, Milano, LED.). Il connubio tra scienza e politica caratterizza l’attività di Gini anche in seno alla International Federation of Eugenic Organizations (Ifeo) e come promotore e presidente della Federazione latina delle società di eugenica.

Con Gini si verificò quindi un cambio di passo. Se Sergi aveva sottolineato l’incidenza dei fattori biologici e antropologici e si era interessato solo di rado a questioni demografiche, per Gini genetica e statistica erano inscindibili, dal momento che l’incremento demografico era una condizione necessaria per garantire la forza economica e militare delle nazioni e per assicurare un futuro alle nuove generazioni, rinnovandone il patrimonio ereditario (Gini, 1915Gini, Corrado (1915), “Genetica e statistica rispetto all’eugenica”, Rivista italiana di sociologia, 3, pp. 218-222.). Nell’eugenica di Gini, l’individuo era tenuto in considerazione non in se stesso, ma in quanto mero componente della società: le qualità e i caratteri del singolo dovevano essere valutati soprattutto in relazione ai loro effetti sull’intera popolazione (Gini, 1927Gini, Corrado (1927), “Le relazioni dell’Eugenica con le altre scienze biologiche e sociali”. En: Atti del Primo congresso italiano di eugenetica sociale (Milano, 20-23 settembre 1924), Roma, Stabilimento poligrafico per l’Amministrazione dello Stato, pp. 3-25.). Dopo il congresso di Londra, anche l’eugenica italiana avviò dunque un percorso di riflessione e ripensamento sul suo statuto e sulle sue possibilità di azione, che l’avrebbe condotta nel corso del ‘secolo breve’ ad assumere un ruolo inedito e decisivo in campo politico, culturale e sociale.

NOTA

 
1

Desidero ringraziare gli anonimi revisori di «Asclepio» per i loro commenti e i loro consigli.

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